Brexit: hanno vinto i vecchi sui giovani; hanno vinto le paure sulle speranze; ha vinto la politica irrazionale della pancia su quella razionale del cervello.
Mi dispiace in primo luogo per i ragazzi inglesi che hanno tentato di contrastare questa scelta folle di vecchie generazioni ancorate ad un mondo che non c’è più. Poi mi dispiace per gli scozzesi e per gli irlandesi che, più di altri, hanno vissuto le crisi economiche e che hanno sempre percepito l’Unione come risorsa più che come vincolo.
Le conseguenze di questa scelta saranno molteplici e non tutte prevedibili dato che si tratta di una “prima volta”. Le conseguenze prevedibili ed immediate sono già sotto gli occhi di tutti: crollo della finanza britannica, crollo del valore della sterlina, declassamento del Regno Unito da parte delle agenzie di rating. Insomma, la Gran Bretagna perde buona parte della sua reputazione di paese affidabile e stabile. Le conseguenze del medio periodo potranno essere un aumento della disoccupazione, un ulteriore isolamento dell’Inghilterra che diventerà irrilevante ella politica europea, e una frantumazione sociale e geografica di questo paese. In questo contesto in pericolo non è (solo) l’Unione Europea, ma (soprattutto) il Regno Unito che rischia una recessione economica ed un isolamento che la riporterebbe indietro in un tempo che non c’è più. Certo, anche per l’Unione questo è un momento di grande crisi. I movimenti e i sentimenti antieuropei sono presenti a macchia di leopardo in tutta Europa e questo referendum, almeno nel breve periodo, fornisce alimentazione alle retoriche antieuropee. L’Unione non può fare finta di nulla, ma deve riprendere a progettare la gestione delle politiche comuni in forma differente e con contenuti differenti incrementando le politiche sociali e rivedendo parte delle politiche economiche. L’Unione deve anche gestire questa Brexit con chiarezza e trasparenza, evitando che questo voto possa essere utilizzato dal governo inglese come strumento per ottenere accordi preferenziali di uscita che lascerebbero immutati i vantaggi dello “stay in” anche in condizioni di non membro. Questo potrebbe avviare un effetto domino.
Non possono fare finta di nulla neanche i politici nazionali, che hanno spesso motivato scelte politiche impopolari ma necessarie con il refrain del “ce lo chiede l’Europa” e nascosto, invece, tutti I benefici economici e sociali derivanti dall’appartenenza all’Unione, presentandoli come propri successi. Gli Inglesi, per esempio, non sanno o hanno dimenticato che gran parte dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nel loro paese sono derivati a partire da sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione che si sono appellate ad articoli dei trattati. E questo è solo un esempio.
Ora cosa fare? Ora bisogna tornare alla politica razionale e dei progetti abbandonando le leadership che parlano alla “pancia” della gente e alimentano irrazionali tendenze e conflitti violenti. E poi, God saves the Queen
Mi dispiace in primo luogo per i ragazzi inglesi che hanno tentato di contrastare questa scelta folle di vecchie generazioni ancorate ad un mondo che non c’è più. Poi mi dispiace per gli scozzesi e per gli irlandesi che, più di altri, hanno vissuto le crisi economiche e che hanno sempre percepito l’Unione come risorsa più che come vincolo.
Le conseguenze di questa scelta saranno molteplici e non tutte prevedibili dato che si tratta di una “prima volta”. Le conseguenze prevedibili ed immediate sono già sotto gli occhi di tutti: crollo della finanza britannica, crollo del valore della sterlina, declassamento del Regno Unito da parte delle agenzie di rating. Insomma, la Gran Bretagna perde buona parte della sua reputazione di paese affidabile e stabile. Le conseguenze del medio periodo potranno essere un aumento della disoccupazione, un ulteriore isolamento dell’Inghilterra che diventerà irrilevante ella politica europea, e una frantumazione sociale e geografica di questo paese. In questo contesto in pericolo non è (solo) l’Unione Europea, ma (soprattutto) il Regno Unito che rischia una recessione economica ed un isolamento che la riporterebbe indietro in un tempo che non c’è più. Certo, anche per l’Unione questo è un momento di grande crisi. I movimenti e i sentimenti antieuropei sono presenti a macchia di leopardo in tutta Europa e questo referendum, almeno nel breve periodo, fornisce alimentazione alle retoriche antieuropee. L’Unione non può fare finta di nulla, ma deve riprendere a progettare la gestione delle politiche comuni in forma differente e con contenuti differenti incrementando le politiche sociali e rivedendo parte delle politiche economiche. L’Unione deve anche gestire questa Brexit con chiarezza e trasparenza, evitando che questo voto possa essere utilizzato dal governo inglese come strumento per ottenere accordi preferenziali di uscita che lascerebbero immutati i vantaggi dello “stay in” anche in condizioni di non membro. Questo potrebbe avviare un effetto domino.
Non possono fare finta di nulla neanche i politici nazionali, che hanno spesso motivato scelte politiche impopolari ma necessarie con il refrain del “ce lo chiede l’Europa” e nascosto, invece, tutti I benefici economici e sociali derivanti dall’appartenenza all’Unione, presentandoli come propri successi. Gli Inglesi, per esempio, non sanno o hanno dimenticato che gran parte dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nel loro paese sono derivati a partire da sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione che si sono appellate ad articoli dei trattati. E questo è solo un esempio.
Ora cosa fare? Ora bisogna tornare alla politica razionale e dei progetti abbandonando le leadership che parlano alla “pancia” della gente e alimentano irrazionali tendenze e conflitti violenti. E poi, God saves the Queen